Ci sono dei momenti che sono esclusivamente poetici: si tratta dei momenti del goal.
Ogni goal è sempre un’invenzione, è sempre una sovversione del codice: ogni goal è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità. Proprio come una parola poetica.
(Pier Paolo Pasolini)
Minuto 72 e cinque secondi della partita del campionato italiano 2017-2018, 24esima giornata, Napoli Lazio. E’ il secondo esatto in cui, ammaliata da una serie di carezze e tocchi e meravigliose traiettorie, la palla non può che docilmente scorrere oltre la bianca linea magica che separa la gioia dal dolore, l’esultanza dalle mani nei capelli, la vittoria dalla sconfitta. Ma ancora di Bellezza andiamo a parlare e soprattutto ad esultare. Ho difficoltà ad immaginare Pasolini lontano dal voler commentare oltre le sue magnifiche parole questa meravigliosa azione che ha portato al goal di Dries Mertens.
Ho difficoltà ad immaginarlo non desideroso di legare alla massima espressione di gioia nel calcio, il goal, altri aggettivi e sostantivi. Certo, l’azione che ha portato alla quarta segnatura della nostra squadra è stata ineluttabile, folgorante, stupefacente ed irreversibile come una parola poetica ed è difficile immaginare qualcosa di più bello di una parola poetica. Ma questa azione, nata dietro la linea del centrocampo sulle sponde di una linea laterale infestata di avversari, forse induce a cercare ancora e ancora.

Di calcistica bellezza noi napoletani e argentini di adozione ne conosciamo abbastanza, ed è la bellezza che ci ha regalato Lui. Una bellezza accecante, che nasceva da buchi difensivi che solo Lui vedeva, o da parabole che Lui era capace non solo di realizzare ma anche appena di immaginare. Lui era l’individualismo nella sua più alta espressione perché capace di essere al servizio del bene comune, La Squadra. Diego era tautologicamente la Squadra. Oggi invece questa Squadra è tautologicamente l’Idea che persegue. Ogni singolo individuo ha in testa una identica feroce idea di gioco che può far germogliare la poesia in ogni angolo del campo, anche quello più lontano dalla porta avversaria. Un triangolo difficilissimo vicino ad una qualunque nostra bandierina del calcio d’angolo, può essere la chiave che apre la porta dietro la quale c’e’ l’autostrada che conduce al Paradiso. E il punto focale non è la teoria, ma la pratica di questa idea. Il Napoli non butta mai il pallone non tanto perché non e’ la cosa giusta da fare ( c’e’ poesia e vittoria anche in Giuseppe Bruscolotti che spediva eroicamente il pallone in tribuna!), ma perché non può fare a meno di cercare in ogni scampolo di tempo e di luogo la propria ed unica via possibile per il goal.

Il Comandante, oserei dire, ha intimamente convinto di questo i nostri piccoli eroi. E allora Jorginho che ha appena ferocemente recuperato il pallone ed è già pressato dal laziale Parolo, potrebbe spedire il pallone in fallo laterale e tutti avremmo applaudito l’azione guerriera. Ma Jorginho sa che non lontano da lui, al massimo nel raggio di cinque metri, c’e qualcuno vestito di azzurro che gli offre una possibilità diversa, magari più rischiosa, ma anche enormemente più prospettica. Jorginho sa che il guerriero che è in lui non è sufficiente all’Idea, propellente unico della realizzazione del sogno. Sa che al guerriero deve addizionarsi in quel momento anche lo stratega. Jorginho sa che sarà la coerenza a far arrivare il Napoli oltre le possibilità ordinarie della somma algebrica del valore dei singoli. E non rinuncia al coraggio, appoggiando docile la palla al Magnifico. Che la tiene fra i piedi il tempo sufficiente a vedere un polacco di ventidue anni che sembra non vedere laziali perché è temerariamente in mezzo a tre di essi che si va a posizionare, in un buco oscuro da cui non sembra essere possibile uscire. E allora mentre i tre laziali aggrediscono la preda che sembra inerme, Piotr Zielinski vede una luce azzurra che si staglia in fondo al tunnel in cui si è cacciato con follia tremendamente lucida.

Quella luce è Jorginho a pochi metri da lui. Decide che il tempo dell’affondo è maturo e per rendere letale il tutto intuisce che i secondi necessari ad un controllo e ad un passaggio successivo sarebbero troppi. E allora è il colpo di un attimo a creare Bellezza. Il suo fulmineo colpo di tacco per servire Jorginho è la chiave che gira nella toppa. La porta si apre, l’autostrada che conduce al paradiso si staglia limpida davanti ai piedi del nostro meraviglioso geometra brasiliano. Quello che succede dopo non è altro che l’ineluttabilità pasoliniana: il cucchiaio che lancia il polacco nello spazio vuoto, Piotr che ipnotizza i laziali spiazzati e rinculanti,ma ancora presenti, il fuoriclasse Ciro Dries Mertens che sfiora leggiadramente la sfera quel tanto che basta a spiazzare il portiere e far sì che la palla lentamente scivoli verso la rete avversaria.

Tanto lentamente da darci il tempo di godere dei rimbalzi che conducono la palla verso la porta, prolungando il piacere. Così come, nel novembre del 1988, godemmo a lungo dei rimbalzi di un colpo di testa di Lui da centrocampo contro il Milan. All’epoca era Lui che apriva porte che non sembravano esistere, oggi e’ la Squadra e L’Idea che persegue incessantemente. Basterà per arrivare a vincere il trofeo? Non basterà? Non possiamo saperlo, non lo sa nessuno. Ma certo non c’è possibilità altra che l’affermazione perenne dell’Idea. Perché siamo questi e niente altro che questi. La Bellezza non costituisce certezza di vittoria, ma anche una sua momentanea assenza darebbe certezza della sconfitta. E sono presuntuosamente sicuro che questo piacerebbe a Pasolini.
Azzurramente, Peppe Miale