L’ex capitano del Napoli racconta agli inquirenti l’incubo nel quale era precipitato: «La mia amica Anna aveva bisogno di soldi, così la presentai ad Antonio Volpe. Poi quel debito passò a me»
«Non sono in grado di indicare una data di termine, perché quando si entra in questo vortice è impossibile uscirne». Sono parole da brividi, quelle pronunciate dall’ex capitano del Napoli Giuseppe Bruscolotti ai carabinieri che, nel pieno dell’indagine contro il clan dei “Calascioni” di Fuorigrotta, avevano deciso di interrogarlo avendo appreso che anche lui era da tempo vittima di usura. L’ex calciatore azzurro ha risposto alle domande degli investigatori e spigato in maniera dettagliata come avesse fatto a finire in quel baratro di debiti insanabili: «Non fui io inizialmente a chiedere soldi in prestito ad Antonio Volpe, ma una mia conoscente di nome Anna Carino, abitante a Marano di Napoli, di circa 67 anni, titolare di un’agenzia di viaggio in viale Augusto».
Ben presto quella “cortesia” gli si sarebbe rivoltata contro: «In pratica io ero a conoscenza che Antonio Volpe era di fatto un usuraio, cosa nota nel quartiere Fuorigrotta, e quindi presentai Anna Carino al Volpe, in quanto necessitava di un prestito di circa 45mila euro. Dopo averli presentati, successivamente Anna Carino mi confermò che Volpe le consegnò i 45.000 euro, se ricordo bene in due tranche, una di 30.000 euro e una di 15.000 euro. Non ricordo che tipo di piano di rientro applicò Volpe alla mia amica, né tantomeno il tasso di percentuale di interesse». Le cose, stando a quanto raccontato da Bruscolotti, si sarebbero però ben presto messe male: «Nel tempo Carino non riuscì a pagare il suo debito e quindi Volpe mi chiamò e mi disse che da quel momento in poi sarei stato io a dover pagare il debito della mia amica, in quanto avevo fatto da garante per lei e quindi ero responsabile».
Per Giuseppe Bruscolotti è l’inizio di un percorso che in breve tempo lo porterà a essere stritolato dalla morsa del clan. Il peggio doveva infatti ancora venire: «Successivamente, nell’anno 2011, anche io andai in sofferenza economica a causa di un ristorante di cui io ero uno dei soci, denominato “10 maggio 1987”, ubicato a Napoli nel quartiere Posillipo. Per tale emergenza chiesi in prestito ad Antonio Volpe 65.000 euro. A fronte di tale debito Volpe mi disse che gli avrei dovuto consegnare circa 2.400 euro o 2.600 euro al mese applicando il 4% di interesse mensile, per un totale del 48% di interesse annuo. Mi disse che avrei dovuto pagare tali rate mensili fino all’estinzione del debito, senza specificare un piano di ammortamento preciso».
Incalzato dalle domande degli inquirenti, l’ex capitano del Napoli ha poi ricostruito lo sviluppo della vicenda. O meglio, dell’incubo: «Fino al 2014 ho pagato regolarmente queste rate mensili per l’importo di circa 2.400 o 2.600 euro, dal mese di ottobre 2014 fino ad ora ho pagato la somma di 1.000 euro al mese. Tale riduzione della rate mensile fu espressamente richiesta da me, in quanto non riuscivo più a onorare la precedente somma, perché molto elevata. Con il problema del Covid 19 non ho pagato per alcuni mesi, ho pagato una nuova rata all’inizio del mese di luglio, ho consegnato la somma di 1.000 euro nelle mani di Michele Scarca, che è un parente di Antonio Volpe. La consegna è avvenuta nella tabaccheria gestita dai Volpe e che si trova a Fuorigrotta, nei pressi del cosiddetto “serpentone” di via Giacomo Leopardi». Bruscolotti ha però fatto un’importante precisazione: «Non ho mai subito minacce fisiche da parte di Antonio Volpe o da parte di uno dei suoi familiari».