Si era impossessato di una casa popolare a Miano, quartiere Nord di Napoli, e da lì aveva deciso di dichiarare guerra al boss Carlo Lo Russo, creando un covo di killer. Così ogni sera usciva armato con una «paranza» e si spingeva, rione dopo rione, sempre di più verso il don Guanella, il quartier generale dei «capitoni», soprannome dei Lo Russo, fino a quando il boss, il 26 aprile del 2016, ne decretò la morte, ordinando che la sua testa fosse tagliata e esposta in un water come trofeo. L’ordinanza di custodia cautelare del gip Francesca Ferri che ha portato all’arresto di 40 persone indagati, ha anche come destinatari i due che avrebbero tentato di uccidere Walter Mallo, rampollo di camorra con una lacrima tatuata sul volto, rivale dei Lo Russo, che in quell’agguato riportò solo una ferita a un braccio perché riuscì a scappare.
All’indomani del rientro a Miano del capo clan, Carlo Lo Russo, i territori da sempre sottoposti al controllo criminale dei capitoni venivano riorganizzati e gestiti da Carlucciello grazie alla collaborazione degli uomini liberi rimasti sul territorio. Carlo Lo Russo, come poi confesserà ai pubblici ministeri della Dda nel luglio 2016, dopo la sua scelta collaborativa, non esita a punire con la morte chiunque osi sfidarlo, intralciandolo nella gestione degli illeciti affari: Pietro Esposito, ras della Sanità, Pasquale Izzi, fastidioso «vicino» di quartiere, sono solo alcune delle vittime cadute sotto i colpi dei suoi killer di fiducia come oramai già accertato con sentenze di primo grado.

Fu Lo Russo a inviare, secondo i pm, Luigi Mango e Alessio Peluso, che sono solo indagati a piede libero per questo reato in quanto il gip ha rigettato la richiesta di arresto, a sparare contro Mallo che aveva sfidato il boss. Tutte le fasi esecutive sono state intercettate.