La richiesta estorsiva da 100mila euro
di Giancarlo Tommasone
Tra gli episodi di tentata estorsione che si contestano a Carmine Montescuro (85 anni, alias zì Menuzzo), nell’ambito dell’inchiesta «Piccola Svizzera», c’è pure quello relativo alla richiesta di 100mila euro nei confronti di un notaio. Stando alla ricostruzione degli inquirenti, che si basa su riscontri investigativi e su intercettazioni ambientali e telefoniche, Montescuro pretendeva questa cifra a mo’ di risarcimento. Per cosa? Per un «credito» che avrebbe vantato dal professionista con studio a Napoli e a Capri, e proprietario di alcuni capannoni in Via delle Brecce a Sant’Erasmo, spazi fittati ad imprese italiane e cinesi. Il tentativo di rivalsa di zì Menuzzo si fonda su fatti risalenti a più di venti anni fa.
Una storia vecchia di vent’anni
A raccontare la storia, intercettato mentre parla con il suo braccio destro Nino Argano, è lo stesso 85enne. Secondo quanto afferma, il notaio avrebbe investito proventi illeciti (un miliardo di lire), provenienti dal traffico di contrabbando di sigarette, che lo stesso boss effettuava alla fine degli anni Novanta. L’affare, la compravendita di una società, era stata imbastita dal boss insieme a un suo socio, un non meglio identificato «commendatore»: insieme avrebbero investito complessivamente due miliardi di lire. La cosa non va in porto, perché il socio di Montescuro muore, mentre quest’ultimo viene arrestato.
Leggi anche / Estorsioni al porto, il pentito
Giuseppe Sarno: Montescuro finto paciere
Annotano gli inquirenti nell’ordinanza a firma del gip Alessandra Ferrigno: «Secondo la sommaria ricostruzione di Montescuro, il notaio aveva falsificato l’atto di compravendita a suo vantaggio, in seguito alla morte improvvisa del (commendatore), che aveva, tra l’altro, anticipato due miliardi di vecchie lire quale caparra per la trattativa di acquisto della società. Sempre a dire di Montescuro, nella circostanza, aveva fatto intendere al notaio che parte di quel denaro anticipato dal (suo socio) era suo poiché in affari con il predetto, tanto da pretenderne la restituzione, cosa che effettivamente avvenne per una certa somma». Montescuro si reca a Capri, e intercetta il notaio in un ristorante, e alla fine il professionista si impegna a restituire il dovuto. Poco tempo dopo, però (siamo nel 2000), l’ottantacinquenne viene arrestato. Il «notaio» non ha ancora saldato il debito e quindi, una volta scarcerato, Montescuro inizia di nuovo a pressarlo per la restituzione del dovuto. Nel corso di una sortita del boss, presso lo studio del notaio, si registra un episodio alquanto eloquente.
Le dichiarazioni / Porto turistico, il pentito:
Montescuro chiuse un’estorsione da 100mila euro
A commentare l’accaduto, sempre intercettato, è il braccio destro di zì Menuzzo. «Argano ricorda infatti – annotano gli inquirenti – le varie volte in cui si era recato, con Montescuro, presso lo studio del notaio per incassare il denaro, anche sotto forma di effetti cambiari, ricordando anche di una occasione in cui Montescuro, che era pure con un altro sodale, aveva brandito una statua di bronzo raffigurante un cavallo, prelevata dalla scrivania del professionista, per scagliarla nelle vetrate dell’ufficio di quest’ultimo». Attraverso minacce e pressioni, argomentano gli inquirenti grazie alla ricostruzione di Montescuro, il notaio restituisce metà della somma dovuta. Circa 20 anni dopo, dunque, l’ottantacinquenne torna alla carica e prova in ogni modo a contattare il professionista.
I proventi illeciti riciclati
e Il notaio sotto scacco
Argano, durante le conversazioni con Montescuro, esterna pure la volontà di fare del male al notaio: «Se non accetta l’appuntamento è morto». E quando si prospetta al boss che il professionista potrebbe denunciarlo, l’ottantacinquenne fa comprendere che non gli conviene, perché secondo zì Menuzzo, è coinvolto nella vicenda del riciclaggio del denaro provento del traffico di sigarette di contrabbando. Su quei soldi (un miliardo di lire), afferma il boss di Sant’Erasmo, avrebbe fatto risparmiare al notaio quasi la metà (della restituzione), ma adesso è deciso a pretendere 100mila euro, sotto forma di richiesta estorsiva.