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Bombe a mano e bazooka, così i Gionta terrorizzavano vittime e nemici

di Redazione
7 Dicembre 2021
in Notizie di Cronaca, Primo Piano
Tempo di lettura: 2 minuti
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Quell’incredibile furto nella stazione dei carabinieri

Se il clan Gionta era a corto di killer perché «chi se li fa trent’anni», come affermato durante le conversazioni intercettazioni da Teresa Gionta, figlia del boss Valentino e moglie del ras Giuseppe Carpentieri, lo stesso non si poteva dire per quanto riguarda la disponibilità di armi. Nonostante l’organizzazione criminale non avesse più la potenza di una volta, secondo gli inquirenti il sodalizio si caratterizzava ancora per «la sua costante disponibilità di armi», strumento essenziale alla logica camorristica la cui essenza si fonda «su principi di sopraffazione e prevaricazione», obiettivi da raggiungere anche con l’attuazione di programmi di matrice violenta. Dalle indagini è emerso che il clan Gionta era dotato di un «formidabile arsenale di armi da fuoco di vario calibro e modello». Pistole, fucili mitragliatori, bombe a mano e bazooka.

La scoperta a pochi passi dal Quadrilatero

Tra gli «strumenti di morte» rinvenuti nelle loro disponibilità anche una pistola modello Beretta calibro 9×21 rubata a gennaio 2007 presso la stazione dei carabinieri di Poppi, in provincia di Arezzo. Questa pistola, raccontano gli inquirenti nell’ordinanza che ha colpito i clan Gionta e Quarto Sistema, fu ritrovata e sequestrata ad agosto 2020 in un appartamento in via Cuparella a Torre Annunziata, a poca distanza dal Quadrilatero delle Carceri, roccaforte del clan dei Valentini. Arma ritrovata con colpo in canna e 14 nel serbatoio in un incavo ricavato nel muro perimetrale dell’abitazione.

Inoltre, spiegano ancora, per sostenere lo scontro armato con le organizzazioni camorristiche rivali e per instaurare e mantenere nel territorio oplontino un clima di omertà e assoggettamento vitale per assicurare il «regolare» svolgimento delle attività illecite, il clan aveva predisposto anche una «batteria» di killer pronta a eseguire ogni piano criminale studiato dai «vertici» dell’organizzazione come gli omicidi e le azioni violente nei confronti dei «nemici» o di chiunque si frapponesse tra il clan e il raggiungimento del suo obiettivo.

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