Faida di Ponticelli, sei arresti nel clan del Lotto 0. Il gruppo di mala schiacciato dalle accuse del neo pentito Pipolo: «Gli attaccò in faccia, da lì partirono gli ordigni»
Sospetti, vendette e un chiarimento telefonico negato. Sarebbero questi i tre ingredienti che hanno scatenato l’ultima, feroce faida di Ponticelli. A finire nel mirino degli inquirenti antimafia è ancora una volta l’agguerrito clan De Luca Bossa, questa mattina colpito da sei arresti, sospettato di aver piazzato diversi ordigni nel degradato quartiere della periferia est di Napoli allo scopo di estromettere dal controllo degli affari criminali – cioè il racket e lo spaccio di droga – gli eterni rivali del clan De Micco-De Martino. La svolta sul caso è arrivata grazie a una fittissima attività di intercettazione telefonica e ambientale, ma anche grazie alle scottanti dichiarazioni rese ai pm dal neo pentito Antonio Pipolo, ex uomo del clan De Micco.
Il blitz di oggi è stato messo a segno dai carabinieri, i quali hanno stretto le manette ai polsi di Annamaria Amitrano, Luca Concilio, Alessandro Ferlotti, Ciro Flauto, Christian Marfella e Lorenzo Valenzano. Alcuni di loro, come il ras Marfella, noto per essere il fratellastro del boss Antonio De Luca Bossa, erano già da qualche mese detenuti. La nuova ordinanza di custodia cautelare rappresenta per loro l’ennesima incudine. Pesantissime, infatti, le accuse da cui ras e affiliati dovranno difendersi: detenzione illegale di armi ed esplosivi, detenzione di stupefacenti e ricettazione, fatti tutti aggravati dalla finalità di agevolare le attività del clan De Luca-Bossa.
Concilio, Ferlotti, Marfella e Valenzano, in particolare, sono sospettati di essere i responsabili morali e materiali dell’ordigno artigianale che il 23 luglio scorso ha fatto saltare in aria la Jeep Renegade della consorte di Ciro Naturale, presunto ras del clan De Micco. Il mandante del raid sarebbe stato Marfella. Vale la pena ricordare che nell’attentato di via Virgina Wolf rimasero danneggiate anche altre vetture e un edificio adiacente. Sul punto, un grosso aiuto alle indagini è arrivato anche dalle intercettazioni a carico della vittima designata, la quale affermava: «Hanno sparato prima sul corso e poi dopo sono venuti qua… hai capito che hanno fatto? Mi ha chiamato mio Giovanni mi ha detto Papà…». Un altro parente, appreso dell’accaduto, esclamava: «Ma davvero facciamo? Io me ne devo scappare dalla vergogna… io ho pure vergogna nei confronti di questa gente». Di lì a breve i sospetti degli investigatori si sarebbero focalizzati sempre più sui De Luca Bossa del lotto 0.
Antonio Pipolo, collaboratore di giustizia da pochi mesi, il 3 agosto scorso ha poi fornito ai pm una lunghissima serie di dettagli in merito alla faida di Ponticelli: «Prima della mia scarcerazione c’erano stati contrasti tra i Casella e i De Martino. Roberto Boccardi si allontanò dai De Micco e si affiliò ai De Luca Bossa. Durante la detenzione Boccardi dava direttive ai noi del gruppo De Micco, oltre a me, D’Apice, Palumbo, Ricci, Onori. Diciamo che si è trattato di una sorta di tregua considerando che nessuno della famiglia De Micco era libero. I De Micco non possono infatti mai andare d’accordo con i De Luca Bossa». Ma a Napoli le tregue di camorra sono fatte di cristallo e basta un nulla per spazzarle via: «Dopo l’arresto di Righetto e Aulisio noi De Micco tentammo di estenderci. So che successivamente è stato arrestato Luca La Penna mentre si trovava a bordo di una Fiat Idea rubata che stava parcheggiando nel lotto 6… pensammo che volessero organizzare un omicidio nei nostri confronti e che tale omicidio fosse stato organizzato da Luigi Austero, rimasto reggente… Chiamammo Luigi Austero e Palumbo gli chiese spiegazioni e Luigi Austero gli attaccò il telefono in faccia. Da lì iniziarono le bombe. Partirono all’attacco».