Il figlio dell’ex leader socialista ha deciso di aderire alla battaglia lanciata dal duo Radicali-Lega durante la manifestazione a favore di Ambrogio Crespi
C’è (a sorpresa) anche Bobo Craxi tra i sostenitori del referendum per la riforma della giustizia, lanciato dai Radicali e dalla Lega. Il figlio dell’ex leader socialista ha firmato a uno dei banchetti allestiti a Roma nel corso della manifestazione «Compresenza» organizzato a favore del regista Ambrogio Crespi. Adesione di Craxi jr anche per l’altro referendum, quello per l’eutanasia legale.
È chiaro però che la vera battaglia politica si gioca sul fronte della giustizia.
Osteggiati dall’Associazione nazionale magistrati, il sindacato delle toghe che con il presidente Giuseppe Santalucia ha annunciato la «ferma reazione» della categoria, come se il referendum non fosse uno strumento previsto dalla Costituzione, i sei quesiti toccano temi centrali della giustizia. Il primo, forse il più avversato dall’Anm, ma anche dalla sinistra e dai grillini, punta ad abolire le norme che oggi permettono ai magistrati il passaggio tra la funzione inquirente (il pubblico ministero) e quella giudicante: i radicali hanno già tentato due volte questo referendum, nel 2000 e nel 2013, senza raggiungere il quorum. «In realtà», protesta Turco, «da quattro anni giace in Parlamento anche una proposta di legge d’iniziativa popolare per la vera e propria separazione delle carriere: l’abbiamo presentata con l’Unione delle camere penali e l’hanno firmata 74.000 italiani. È incredibile che Camera e Senato non la prendano in considerazione». In materia di giustizia, va detto, anche le riforme ipotizzate dal guardasigilli Marta Cartabia non incontrano un consenso unanime. Tanto che Salvini ha detto: «Noi sosteniamo le riforme del ministro Cartabia, ma ora i cittadini potranno dare una bella spinta». Ovviamente con i referendum.
Il secondo quesito vuole contrastare le ingiuste detenzioni, circa mille ogni anno. L’Italia è anche tra gli Stati con più detenuti in attesa di giudizio, visto che sono il 35,6% contro una media europea del 23. Dal 1989 la custodia cautelare è ammessa per i reati oltre i 5 anni di reclusione, e solo se esistono tre condizioni di pericolo: reiterazione del reato, fuga e inquinamento delle prove. Il referendum limiterebbe l’arresto per pericolo di reiterazione del reato e l’ammetterebbe solo per i crimini più gravi, quelli che «contemplino l’uso delle armi o di violenza». Il terzo referendum vuole ridurre il potere delle quattro correnti sul Consiglio superiore della magistratura: intende abrogare un comma della legge che dal 1958 organizza l’elezione dei membri togati del Csm in base a «liste di magistrati presentatori», impedendo che le correnti possano presentare i loro candidati.
A fare più paura all’Anm è comunque il quarto referendum, che punta a una vera responsabilità civile dei magistrati. Nel 1987 il referendum radicale su questo punto, intitolato a Enzo Tortora, ottenne l’80,3% di Sì, ma l’anno successivo fu tradito da una legge che stabilì regole così complicate da rendere impossibile punire i magistrati che, per dolo o colpa grave, commettano un’ingiustizia. Negli ultimi 11 anni, grazie alle protezioni di quella legge, sono stati processati solo 129 magistrati, e ne sono stati condannati appena otto. A pagare, comunque, è stato sempre e solo lo Stato. Se passasse questo referendum, invece, il cittadino che si ritiene vittima di un errore giudiziario potrebbe chiamare direttamente in causa il pm o il giudice che l’ha commesso.

Il quinto quesito punta all’abrogazione della legge Severino, che dal 2011 vieta a chi sia stato condannato in via definitiva di ricoprire incarichi parlamentari e di governo. È la norma che nel 2013, retroattivamente, ha obbligato Silvio Berlusconi a lasciare il suo seggio in Senato. Con qualche un profilo di dubbia costituzionalità, visto che nel nostro ordinamento chi non è condannato in via definitiva è innocente, negli enti locali la legge impone la decadenza da ogni carica anche per i condannati in primo grado, e impedisce loro di candidarsi. L’ultimo referendum è il meno conosciuto, ma non per questo il meno importante: darebbe più poteri agli avvocati nei Consigli giudiziari territoriali. Esistono 26 Cgt, uno per Corte d’appello, e sono organismi composti in maggioranza da magistrati, ma anche da avvocati e docenti universitari. I Cgt funzionano come Csm in miniatura: creano le «tabelle» che affidano i procedimenti civili e penali ai vari magistrati; giudicano le loro attitudini agli uffici direttivi, con valutazioni che passano al Csm perché decida su nomine e promozioni; verificano le incompatibilità ambientali e decidono sugli incarichi extragiudiziari. Oggi, nei Cgt, avvocati e docenti contano come il due di picche: votano solo sulle «tabelle», mentre su tutto il resto assistono alle riunioni senza diritto di parola. Il referendum darebbe loro gli stessi poteri dei magistrati.