di Giancarlo Tommasone
Sarebbe più romantico credere che la battaglia tra i due colossi Tirrenia e Grimaldi si combatta sui mari, lì dove è cominciato tutto, lì dove nasce e continua ad essere vissuta l’avventura di due armatori. Da una parte Vincenzo Onorato (Gruppo Moby e Tirrenia), dall’altra Manuel Grimaldi (all’anagrafe Emanuele, dell’omonima multinazionale). Li divide solo un anno di età (Onorato è nato nel ’57, Grimaldi nel ’56).

Entrambi, la brezza salmastra, il mare, li hanno respirati da sempre, avendo visto la luce a Napoli. Parlavamo di una battaglia, che tecnicamente dovrebbe svilupparsi sulle acque del Mediterraneo, ma che nei fatti si gioca più tra decreti legge, posizioni dei sindacati, sgravi fiscali e lavoratori italiani e stranieri. Una lotta che si gioca anche sul terreno del marketing e della comunicazione e che, ad esempio, ha fatto produrre al gruppo Moby Tirrenia il ‘manifesto’ con cui si invitano i passeggeri a “navigare italiano”. Una battaglia di cui ha rendicontato Il Tempo, diretto da Gian Marco Chiocci, attraverso una inchiesta a puntate redatta alla fine dello scorso novembre.

Tutto nasce nel 1997. Il Governo vara il decreto legge 457 che reca interventi urgenti per la salvaguardia della gente di mare. Il decreto, con successive modifiche sfocia nella legge 30/98 che contiene una condizione speciale per gli armatori, vale a dire il totale esonero del versamento di contributi previdenziali ed assistenziali previsti per legge sul personale imbarcato. Personale che deve essere comunitario se si vuole usufruire degli sgravi. La cosa va avanti fino al febbraio del 2002, quando interviene una deroga alla succitata legge. Succede che i sindacati di categoria appartenenti alla Triplice (e quindi Filt Cgil, Fit Cisl e Uil trasporti) firmano un accordo quadro con Confitarma (la confederazione che riunisce gli armatori). Cosa succede con l’accordo? Accade che viene aggirato “il divieto di imbarco di personale extracomunitario”, ma nello stesso tempo si consente di usufruire degli sgravi. Perché c’è una clausola dettata dall’eventuale irreperibilità di marittimi italiani o comunitari. Questo il passaggio testuale dell’accordo: “In caso di irreperibilità di marittimi italiani o comunitari, si potrà procedere all’imbarco di marittimi per tutte le qualifiche con esclusione del Comandante”. Della stessa irreperibilità e della qualifica (o delle qualifiche per le quali risulta mancante personale italiano e comunitario) bisognerà ‘notiziare’ di volta in volta, via fax, le segreterie nazionali dei suddetti sindacati. Quindi Filt Cgil, Fit Cisl e Uil trasporti, sono praticamente investiti del ruolo di certificare l’irreperibilità.

Il peso delle sigle, dunque, cresce e continua a farlo un anno più tardi. A febbraio del 2003, infatti, l’ennesimo accordo sottoscritto tra Confitarma e i sindacati di categoria della Triplice prevede che gli armatori debbano versare un contributo direttamente ai sindacati per ogni lavoratore extracomunitario imbarcato. Le tariffe variano a seconda se ci si trovi davanti a navi iscritte nel Registro Internazionale con equipaggio italiano-comunitario o a navi che imbarchino italiani, comunitari e non comunitari. Nel primo caso il versamento annuale per ogni non comunitario è di 190 euro, nel secondo è di 300 dollari (280 euro circa).
E’ da qui che scoppia il caso.

Ad innescarlo è Vincenzo Onorato che con accuse al vetriolo pone l’accento sugli ingenti flussi che dagli armatori finiscono nelle casse dei sindacati della Triplice. Onorato, appoggiato da altre sigle, sposa la battaglia degli italiani perché tiene a sottolineare che i lavoratori non comunitari vengano sottopagati e impiegati (in maniera molto più conveniente economicamente per le compagnie) proprio a discapito dei marittimi nostrani, che restano a casa senza occupazione. Stretti nella morsa della concorrenza innescata dagli accordi tra Confitarma e sindacati di categoria.
(II – Continua)
La prima puntata dell’inchiesta: Tirrenia schiera la flotta «tricolore» contro Grimaldi