di Giancarlo Tommasone
Stylo24 ha contattato Maria Luisa Iavarone, la mamma di Arturo. Lo studente 17enne, lo scorso 18 dicembre, fu aggredito da una baby-gang in Via Foria e fu lasciato in fin di vita. Le abbiamo rivolto alcune domande su una vicenda che ha segnato molte coscienze. E sulla quale ci si continua a interrogare.
Ha visto il servizio delle «Iene» sui bambini della Parrocchiella? Che messaggio può passare da un servizio del genere?
Sono rimasta sinceramente molto desolata per quel servizio. Conosco, seguo ed apprezzo il lavoro di Giulio Golia, che peraltro ha sullo stesso tema costruito un reportage molto intenso presentato nella puntata delle «Iene» dell’11 febbraio 2018 ma, sinceramente, in riferimento alla seconda parte di quel servizio (andato in onda il 18 febbraio) ho molte perplessità. Il messaggio che passa sembra sminuire il fatto che questi ragazzini possano essere gravemente a rischio. Per carità, io, ovviamente mi auguro per loro che il rischio non si concretizzi, il fatto stesso però che quella foto sia da essi stessi stata postata e soprattutto con quella didascalia, non tenderei a sottovalutarlo. Credo che il servizio di Golia sui ragazzi della Parrocchiella utilizzi un registro eccessivamente giustificazionista tendente a ridurre rischiosamente le responsabilità di quei genitori che non si erano mai accorti in due anni che quelle foto erano sui profili Facebook dei loro figli e che poi dagli stessi erano state ripostate proprio in occasione della recrudescenza del fenomeno delle baby-gang a Napoli negli ultimi tempi. Quegli stessi genitori che poi consentono ai figli di sfrecciare nei Quartieri con minimoto vietate e che loro stessi arrivano nel servizio in tre su uno scooter senza casco e che lasciano un bambino ad orario di cena nutrirsi per strada di una vaschetta di patatine fritte ricolme di maionese. Fare del giornalismo di denuncia significa produrre immagini a supporto di una tesi chiara, lucida e responsabile; in questo caso, mi sembra che l’unico obiettivo fosse quello di realizzare un contro-scoop teso non certo a produrre un avanzamento del discorso sul tema ma sostanzialmente a sconfessare il lavoro di indagine svolto da Stylo24.

Come mai, secondo lei, i riflettori sulla questione delle baby-gang e sulla vicenda di Arturo si sono spenti poco dopo la presentazione delle liste per le prossime Politiche?
Non credo i riflettori si siano esattamente spenti: nessuno si può permettere di ignorare un fenomeno così inquietante e visibilmente sotto gli occhi di tutti. Credo piuttosto possa esserci un rischio di assuefazione in una città in cui accadono così tanti fatti criminosi e così frequentemente. Per quanto riguarda la politica poi, ora, in campagna elettorale, i candidati mi sembrano più preoccupati di trovare consensi piuttosto che di interrogarsi su questioni reali. Le istituzioni invece attualmente in ruoli di governo, mi sembrano più occupate di mantenere i loro assetti di pseudo-controllo del problema piuttosto che mettersi al lavoro per tentare strategie nuove e più efficaci. Forse le mie proposte ed idee, inizialmente ritenute interessanti perché utilmente spendibili da una certa politica, con la chiusura delle candidature non sono apparse più tali.
Ha dichiarato che non appena saranno assicurati alla giustizia i responsabili dell’aggressione ad Arturo, lascerà Napoli. Cosa, una volta raggiunto l’obiettivo, potrebbe farle cambiare idea?
Devo dire che questa mia dichiarazione è stata leggermente fraintesa. Ho sempre insegnato ai miei figli a non scappare dinanzi ai problemi ma ad affrontarli con impegno e forza d’animo. Decidere di andare via avrebbe negato questo mio principio educativo ed etico. Ciò non toglie che quando questa questione avrà trovato una sua soluzione in termini di giustizia, se si dovessero verificare altre circostanze e/o necessità, legate ad esempio ad esigenze di studio e di formazione dei miei figli, non ho nessuna difficoltà a pensare a un nostro trasferimento in un’altra città, ma non ora. Cosa potrebbe farmi cambiare idea…? Solo un espresso desiderio dei miei figli a rimanere insieme ad un impegno significativo e concreto in un progetto di benessere a tutela di tutti i giovani di questa città.
È diventata un simbolo della lotta alle baby-gang. Quali potrebbero essere – o magari già se ne sono avute – le conseguenze di una tale esposizione, anche mediatica?
Devo dire che questa mia scelta di ‘comunicazione spinta’ su quanto accaduto, ha prodotto una ondata massiccia di sostegno, solidarietà ed anche molta simpatia. Ricevo quotidianamente decine e decine di messaggi di incoraggiamento a proseguire, ad andare avanti in tal senso. Ma, come facilmente immaginabile, il mio atteggiamento ha prodotto anche anticorpi, nella consapevolezza che non si può piacere a tutti e che non a tutti sono chiare le intenzioni di chi non si conosce a fondo nella sua storia culturale e sociale. A queste persone vorrei dire di provare a mettersi, solo per un istante, al posto di una madre che in un pomeriggio qualsiasi riceve una telefonata e poco dopo si ritrova inginocchiata davanti al corpo di suo figlio, riverso in un lago di sangue, trafitta dalla paura di perderlo per sempre. Provate ad essere voi questa madre, solo per un istante, ma fatelo però mentre guardate i vostri figli negli occhi, forse vi sarà più facile comprendere cosa si può provare.
Anche perché, credetemi, non è stato facile esporsi, parlare con la stampa, con le televisioni, quando si ha un figlio in rianimazione o in una corsia di ospedale, eppure ho ritenuto fosse importante farlo, soprattutto per rappresentare ad Arturo il fatto che ci fosse un mondo lì fuori che si preoccupava per lui, che si stava indignando per quanto stesse accadendo ma soprattutto che il suo sacrificio non era un dolore sordo e vano ma poteva costituire un’occasione, un’opportunità per una battaglia di civiltà di cui lui poteva esserne il volto.

Cosa crede possano fare le istituzioni per sconfiggere il fenomeno delle baby-gang? Cosa può la famiglia?
Ho detto più volte che il fenomeno della violenza minorile nasce a mio avviso nell’alveo di una eclissi genitoriale che fa annaspare ciecamente questi ragazzi in un mondo senza adulti significativi e che produce in loro una assenza totale del principio di autorità, incapaci a riconoscere come autorevoli ogni altra istituzione oltre la famiglia come la scuola, lo stato, la politica. Ed è proprio dal principio di autorevolezza che bisogna ripartire, provando a ricreare attorno a ciascuno di questi minori almeno “una” presenza autorevole, capace di trasferire valori significativi, un modello di vita possibile. Una Presenza che in assenza della famiglia possa essere incarnata da un maestro di strada, un insegnante, un educatore sportivo, un sacerdote, ecc. Sempre nell’idea che soluzioni uniche e progetti occasionali non costituiranno mai una soluzione al problema. Ecco perché ho pensato ad un modello di intervento integrato Artur: Adulti responsabili per un territorio unito contro il rischio che, attraverso azioni di sistema, dovrebbe autenticamente tentare di contrastare il disagio minorile.

È d’accordo con chi ipotizza di togliere i figli minori a genitori che li facciano continuare a vivere in contesti ad alta densità malavitosa?
Nel modello Artur è assolutamente prospettata la necessità di predisporre protocolli di intesa e di convenzioni interistituzionali tesi alla realizzazione di piani di sostegno alle famiglie dei minori in difficoltà, anche mediante erogazione di uno speciale reddito di cittadinanza per la genitorialità responsabile per quei genitori che dimostrano comportamenti adeguati nell’accompagnamento dei figli che palesano condotte di rischio. Di contro è necessario prevedere misure giuridiche tese a limitare l’esercizio della potestà genitoriale per i genitori di minori che delinquono o che non onorano il patto di responsabilità genitoriale.

Arturo è un ragazzo coraggioso e forte. Che ha sconfitto l’inferno. Ha passato momenti difficilmente superabili. Come sta a due mesi dai fatti di Via Foria? Si sente più forte di prima? O come?
Arturo è un ragazzo forte, ma decisamente ancora molto provato nel fisico e nell’anima. Attualmente segue un duplice percorso riabilitativo di tipo logopedico e psicoterapeutico. Ha una ridotta mobilità fisica, si stanca presto, non può praticare sport ed ha il fiato corto, non esce da solo ed ha smesso di fare progetti a lungo termine. E’ assolutamente prematuro tirare qualsiasi tipo di bilancio sul suo equilibro psicoemotivo rispetto al quale tuttavia saranno fondamentali gli sviluppi giudiziari che la vicenda avrà e non ultimo il ruolo che le istituzioni sapranno assumere nel far sentire la loro vicinanza ed interesse per la questione.