di Giancarlo Tommasone
Combattere sul terreno del Jihad è estremamente complesso, perché i soldati di Allah non fanno parte di un esercito convenzionale, anche se si ritrovano tutti sotto la bandiera dello Stato Islamico. Sono guerrieri invisibili, spesso arrivare solo alla loro identità significa risolvere rebus complicati, che si perdono nel sentito dire, nella distanza della lingua e nelle dichiarazioni rese dagli stessi indagati.
Ma ci si può trovare pure davanti a personaggi alquanto sui generis,
un po’ terroristi, un po’ ladri, tanto da arrivare a rubare cibo e acqua
ai loro fratelli, mentre si trovano in un campo di addestramento.
Di tale circostanza e di altri particolari è venuta a conoscenza la Procura di Napoli che da mesi indaga su una presunta cellula Isis, che sarebbe stata pronta a sferrare l’attacco in Europa. I protagonisti sono sostanzialmente 2: Alagie Touray, 21enne arrestato lo scorso aprile e Ousman Sillah, che secondo i riscontri degli inquirenti dovrebbe avere 34 anni (invece dei 23 dichiarati all’atto del suo arrivo in Italia) e dovrebbe chiamarsi non Ousman, bensì Ansu. Entrambi sono gambiani, Touray è stato arrestato a Licola, Sillah, invece a Napoli, e si trova attualmente recluso presso il carcere di Bellizzi Irpino.

I destini dei due si incrociano circa sette anni fa in Gambia. Poi nel 2016 decidono di raggiungere un mo ‘askar (campo di addestramento Is) che si trova nel deserto libico. Per centrare un obiettivo: diventare jays, ovvero soldati che combattono sul territorio. Il viaggio comincia, stando a quanto i due indagati (accusati di terrorismo) affermano, a maggio del 2016.
Partono da Banjul e raggiungono Andalah, entrambe città del Gambia. Poi arrivano in Mali, di lì si spostano in Niger.
Infine arrivano a Gadron, in Libia e poi finalmente nel campo di addestramento. Le dichiarazioni sono discordanti su alcuni particolari: Touray dice che il gruppo con cui è partito era formato da 13 persone, Sillah afferma invece che erano 17. Il 21enne dichiara che è stato nel campo due mesi, il 34enne, invece 4. Le dichiarazioni di entrambi collimano però circa l’addestramento.

«Ci hanno dato in dotazione un Ak-47 (mitragliatore kalashnikov), ma le munizioni ce le hanno fornite alla fine. Ci hanno insegnato ad usare le armi e ci hanno preparato per avere resistenza», racconta Alagie Touray agli inquirenti. Per testare la resistenza degli aspiranti jihadisti, i «coach» li percuotono con bastoni di legno e li calpestano, nel senso letterale del termine.
All’interno del campo superano le cento unità, oltre ai gambiani, ci sono egiziani, sudanesi, persone provenienti da altri Stati dell’Africa e un cittadino europeo.
Gli egiziani, racconta sempre Touray, «avevano quasi tutti scelto di diventare kamikaze (vale a dire istishad, i quali agiscono attraverso l’uso dell’esplosivo in auto, o sulla propria persona)».

Il terzo «corpo speciale» è rappresentato dagli egeremas, soldati che all’occorrenza possono diventare kamikaze. I campi di addestramento sono «mobili». Una volta localizzati dal nemico, devono essere smontati e se ne devono nascondere le tracce. «Si scava una grande buca – spiega Touray – e si sotterrano i rifiuti e tutto quello che sta ad indicare la presenza di un campo.

In Libia abbiamo compiuto l’addestramento in tre campi diversi. Al secondo si accedeva tramite un cunicolo sotterraneo; lì insegnavano a usare gli esplosivi. Alla fine dell’addestramento abbiamo recitato il giuramento». Touray dice anche di essere stato allontanato dal campo per indisciplina, stessa sorte toccata ad altri aspiranti soldati e a Sillah.

«Non ci presentavamo in tempo all’addestramento, in alcune occasioni abbiamo rubato cibo ed acqua, tanto che ci hanno portato alla presenza dell’emiro (il capo del campo) e ci hanno praticamente espulsi dal mo ‘askar», dichiara il 21enne. Naturalmente le sue dichiarazioni, come quelle di Sillah, che in parte avrebbe confermato di essere stato allontanato dal campo, vanno prese con il beneficio del dubbio e con molta attenzione.
I due si sarebbero comunque persi di vista dopo la fine dell’addestramento.
Ognuno si sarebbe organizzato autonomamente per raggiungere l’Italia. Per poi, accusano gli inquirenti, organizzarsi in attesa di attuare i loro propositi stragisti in Europa.