Eludeva i controlli grazie all’abito talare
di Giancarlo Tommasone
Il mandato di cattura gli fu notificato mentre indossava l’abito talare, e il sacerdote, dopo un momento di perplessità, realizzò di cosa si trattasse. Era accusato di aver favorito la latitanza di Rosetta Cutolo, alias occhi di ghiaccio, alter ego in gonnella del fratello Raffaele, il capo indiscusso della Nuova camorra organizzata. A finire in arresto, il 14 maggio del 1983, fu il 49enne padre Giuseppe Romano, parroco della cappella di San Giorgio a Somma Vesuviana, confessore della famiglia Cutolo e di altri componenti della Nco. Per gli inquirenti, il religioso avrebbe pure fatto parte della citata organizzazione criminale. L’operazione fu portata a termine dalla Mobile, in collaborazione con la Questura di Napoli. Si trattò del prosieguo di un precedente blitz, che una settimana prima aveva prodotto 12 arresti; in manette soggetti legati ai cutoliani.
Il covo di Fiuggi
Grazie al materiale sequestrato nelle abitazioni degli arrestati, gli investigatori localizzarono un covo camorristico, allestito presso un appartamento del residence Le betulle di Fiuggi. Appartamento – secondo gli inquirenti – frequentato anche da Rosetta Cutolo.
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Si attesero alcuni giorni, per cercare di intercettare la sorella del padrino, ma gli appostamenti risultarono vani. In seguito a ciò si decise di fare irruzione nel residence e si riuscì a sequestrare documenti che comprovarono una «stretta connessione» tra padre Giuseppe Romano e la sorella del boss. Il prete fu arrestato all’alba, mentre si trovava in canonica. In alcuni cassetti furono rinvenuti e sequestrati documenti, che gli investigatori giudicarono «interessanti», e portarono all’attenzione della magistratura.
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quando l’abito non fa il monaco
Romano fu accusato di aver favorito nella sua latitanza, Rosetta Cutolo, all’epoca ricercata già da due anni. In particolare, il parroco fu sospettato di aver favorito la clandestinità di Rosetta con continui spostamenti a bordo della propria automobile, una Ford Fiesta. Approfittando dell’abito talare, infatti, secondo quanto ipotizzarono gli inquirenti, il sacerdote sarebbe riuscito a superare, senza essere sottoposto a controlli, i posti di blocco allestiti dalle forze dell’ordine. Giuseppe Romano, fino al novembre del 1980 era stato parroco della piccola chiesa di San Domenico, a Ottaviano, la struttura religiosa fu danneggiata dal terremoto e chiusa. In seguito, il prete si trasferì ad officiare, presso la cappella di San Giorgio a Somma Vesuviana.