di Giancarlo Tommasone
Il clan ha pure uno «sportello» che si occupa del recupero crediti. Ma non si tratta di soldi di cui deve rientrare in possesso direttamente l’organizzazione criminale, è piuttosto un servizio che i Contini forniscono a terzi. Se, ad esempio, c’è qualcuno che vanta un credito e il debitore non ha intenzione di pagare, ci si rivolge alla cosca del Vasto-Arenaccia. Costi dell’operazione? Il 50% del denaro che bisogna riprendere. Nei fatti si tratta di una estorsione.
I clienti sono soprattutto imprenditori e commercianti.
«L’estorsione col metodo del recupero è una pratica diffusissima nel clan Contini», è scritto nell’ordinanza a firma del gip Roberto D’Auria, e relativa all’operazione effettuata mercoledì scorso contro l’Alleanza di Secondigliano. «La forza intimidatrice del gruppo riusciva ad ottenere risultati dappertutto», a Napoli, nella provincia partenopea e perfino fuori regione.
Le modalità dell’illecito sono state ricostruite grazie a una serie di conversazioni, intercettate in ambientale (tra il 2012 e il 2013) e captate all’interno della vettura di Vincenzo Tolomelli. Quest’ultimo, elemento di spicco dell’organizzazione, gestisce la paranza del Borgo Sant’Antonio Abate. Riguardo al «recupero», i sodali del clan hanno stabilito regole ben determinate a cui deve sottostare chiunque si rivolga al sodalizio. La regola numero uno stabilisce che chiunque voglia recuperare il suo credito, ha diritto solo alla metà della somma inizialmente spettante, perché l’altra metà è destinata al clan (serve per pagare il servizio).
Molti, non sapendo come rientrare rispetto a una cifra, considerata il più delle volte ormai persa, si rivolgono
alla cosca e accettano di «condividere la posta».
Le richieste arrivano pure dalla provincia partenopea. C’è ad esempio un grossista di abbigliamento di Giugliano, che rifornisce soprattutto magliari, che vanta un credito rispetto a dei clienti napoletani, e chiede aiuto a Tolomelli. In un’altra occasione il gruppo è chiamato ad operare a Villaricca. Un commerciante vanta da un pescivendolo, la somma di tremila euro. Ma, dalle intercettazioni, emerge una circostanza inquietante.
Non appena recuperati i soldi, il creditore
devolverà la sua parte, e quindi 1.500 euro,
in «beneficenza» ai carcerati del clan.
«Vincenzo, ‘o frat’, li voglio dare ai carcerati, per sfizio». Al che, Tolomelli, provando a schermirsi, dice: «No, no». E il cliente dell’agenzia di «recupero crediti», ribadisce: «No, li dovete accettare, fate un regalo ai carcerati, è uno sfizio personale».
In altre occasioni l’azione si sviluppa fuori dai confini regionali. «Infatti – scrive il gip nell’ordinanza -, dinanzi alla richiesta di effettuare alcuni recuperi, di cui uno ad Arezzo e uno nelle Marche, Tolomelli non solo, non esitava un attimo, sottolineando tra l’altro il suo legame con il territorio: “Arezzo è proprio zona mia”.Ma ostentava tale sicurezza da fissare, oltre alla quota da ottenere per il servizio prestato, anche un anticipo sull’intera somma (ammontante a 5mila euro)».

Inoltre, di fronte alla richiesta di una persona di Milano, che vantava un credito da un imprenditore alberghiero del Veronese, Tolomelli prospetta l’ipotesi di malmenare il debitore che deve una somma di 75mila euro. Oltre ad assicurare che si sarebbe recato sul posto personalmente, dice al suo interlocutore: «A questo lo “ciacchiamo” proprio (lo mandiamo all’ospedale)».