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Home Inchieste e storia della camorra

I giudici: Greco colluso, per lui naturale scendere a patti con i clan

di Redazione
1 Febbraio 2019
in Inchieste e storia della camorra, Notizie di Cronaca
Tempo di lettura: 3 minuti
adolfo greco castellammare camorra

L'imprenditore Adolfo Greco, al momento dell'arresto del 5 dicembre 2018

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di Francesco Vitale

Depositate le motivazioni della decisione con la quale il Tribunale del Riesame, lo scorso dicembre, ha respinto la richiesta presentata dai legali di Adolfo Greco. Gli avvocati (Vincenzo Maiello e Michele Riggi) avevano chiesto  di annullare l’ordinanza di custodia cautelare eseguita il 5 dicembre nei confronti del proprio assistito.

L’imprenditore è finito in carcere
(si trova a Secondigliano)
con l’accusa di concorso in estorsione
aggravata
dalla matrice camorristica,
nell’ambito dell’operazione Olimpo
scattata contro
i clan dell’area stabiese: D’Alessandro, Cesarano, Afeltra e Di Martino

«Greco, nella sua veste di imprenditore colluso con la camorra, non concepisce assolutamente che si possa non assecondare una richiesta proveniente dal clan», scrivono, tra l’altro, i magistrati nelle motivazioni.

L’assunzione del nipote di Carolei e l’estorsione
imposta a un imprenditore da parte del clan Afeltra

«Il re del latte» Adolfo Greco (nella casa del quale sono stati trovati più di 2,7 milioni di euro in contanti) per l’accusa, si sarebbe attivato per l’assunzione del nipote di Paolo Carolei, presso un suo parente, titolare di attività commerciali nel Vesuviano e inoltre, avrebbe avuto un ruolo di primo piano nell’estorsione consumata nei confronti di un altro imprenditore, da parte del clan Afeltra, attivo sul territorio di Pimonte ed Agerola. I magistrati, supportati anche dalle intercettazioni telefoniche e ambientali e dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, nel caso specifico della estorsione all’imprenditore, sottolineano che Greco avrebbe «messo nelle mani del clan la vittima», prima con il consiglio di incontrare Raffaele Afeltra, poi facendo da mediatore tra quest’ultimo e la persona da vessare. Raffaele Afeltra avrebbe chiesto una tangente di 50mila euro, alla fine ci si accorda per 12mila.

«Le cose vanno fatte piano piano», dichiara, intercettato il «re del latte». Il Tribunale del Riesame ha dunque aderito all’impostazione accusatoria (quella della Procura) «che individua in Greco la figura dell’imprenditore colluso che, pur vessato dai clan, ai quali versa denaro con cadenza periodica ed in via continuativa negli anni, trae al contempo un proprio personale vantaggio in nome del quale pone a disposizione del gruppo i propri servigi».

«Greco Adolfo, in particolare, è da considerarsi anello
di congiunzione tra le consorterie criminali ed il territorio»

«Poiché come emerge con evidenza dall’insieme del materiale probatorio posto a sostegno dell’ordinanza impugnata, egli riveste la funzione di longa manus delle associazioni camorristiche, che a lui si rivolgono per veicolare e rafforzare le proprie richieste estorsive», è scritto pure nelle motivazioni.

Per quel che riguarda la richiesta di una misura cautelare meno «oppressiva» per l’indagato, vale a dire arresti domiciliari invece della detenzione in carcere, il Tribunale del Riesame (presidente Elena Valente, giudici Paola Lombardi e Claudia Picciotti), così motiva la sua decisione: «Appare, quindi, evidente che non soltanto il rischio di recidivanza sia attuale e concreto, ma anche che lo stesso sia preservabile solo attraverso l’estremo rimedio custodiale in considerazione di plurimi elementi di valutazione: la centralità dei luoghi di pertinenza dell’indagato rispetto alle condotte criminose (si pensi agli incontri presso lo stabilimento e al ritrovamento del denaro nell’abitazione); la necessità di recidere i contatti con il territorio, la cui natura tentacolare e diffusa, non consente di ritenere idonea neanche una forma di autotutela delocalizzata».

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